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PRIMA PARENTESI GRAFFA

 

"di quando venni catturato dai pirati 

e pensai di non avere un futuro"

Capitolo III

 

 Silenzio.

 Una penombra dall'odore rancido racchiudeva un barlume di tranquillità. 

  Silenzio, anzi no, silenzio in un brusio lontano di risa e schiamazzi indecifrabili.

"Tranquillo ragazzo..." un bicchiere in legno consumato mi si parò davanti.

 In quel momento realizzai di avere le mani libere. Ancora doloranti per le legature, le guardai perplesso.

 "Quei segni... che so io, ti rimarranno per un pò!" disse l'omone con grandi occhi sereni.

 Provai a dire qualcosa, ma la voce non usciva, così feci l'unica cosa che potessi fare, bevvi dal boccale. Il fuoco dentro, come quando pensi di aver ingoiato l'inferno, quello feci, inghiottii il fuoco dell'inferno.

 Tossii per parecchio tempo e le pacche sulla schiena dell'omone non aiutarono, ma soprattutto mi misero all'erta.

 "Cosa vuoi da me. Perché sei così gentile..." 

 Tra i miei colpi di tosse e i suoi sguardi gravi, l'omone rimase in silenzio, finché non fu sicuro che potessi davvero comprendere le sue parole.

 "Ragazzo, se è vero quello che hai detto, che sei un bardo, avrai salva la vita..."

 A cosa si riferiva non lo capii subito. Ma non attardai troppo la faccia stupita, per non dare l'impressione che lo stessi prendendo in giro. 

 "Certo, sono un musico, ma non posso suonare senza gli strumenti!" mentii spudoratamente, dato che la mia nave era già affondata non avrebbero potuto verificare le mie finte credenziali. 

 Mentre ancora il rum torceva nello stomaco, l'omone mise sul tavolo un piatto con dei pezzi di pollo e un tozzo di pane secco.      

 "Mangia e riposati in quell'amaca" indicò con gli occhi un punto buio nell'angolo opposto.

 "Io sono Chio" e sparì su per le scale, verso la luce che filtrava dall'alto.

 Ed è così che entrai a far parte della ciurma, dolorante e bugiardo, ma vivo.

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